Perché all'Italia conviene approvare la riforma del Mes

All'interno della maggioranza c'è un'opposizione "ideologica" e una "strategica" alla ratifica, entrambe usano argomenti infondati. La riforma non comporta nuovi rischi o automatismi e il veto non garantisce potere negoziale in Europa su altri tavoli
Number: 1
Year: 2023
Author(s): Silvia Merler

Il dibattito sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) - che l’Italia rimane l’unico Paese UE a non avere ratificato - è tornato al centro del dibattito politico italiano. All’interno della maggioranza di governo sembrano coesistere due linee di opposizione alla ratifica – una “ideologica” e una “strategica”. Entrambe sono fallaci.  

ITALY IN EUROPE

Durante le ultime settimane, è tornato agli onori delle cronache il dibattito sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) - che l’Italia rimane l’unico Paese UE a non avere ratificato. All’interno della maggioranza di governo sembrano coesistere due linee di opposizione alla ratifica – una “ideologica” e una “strategica”. Entrambe sono fallaci.  

Alla radice dell’opposizione “ideologica” sembra esserci il timore che la ratifica della riforma renda in qualche modo più facile il “commissariamento” dell’Italia da parte di Bruxelles e Francoforte, con conseguenti svantaggi o rischi economici per l’Italia. Questi timori sono ingiustificati. 

 

La riforma

Istituito nell’ottobre 2012, il MES ha il compito di prestare a quei Paesi dell’Eurozona che si trovino a fronteggiare una crisi di bilancia dei pagamenti e a rischiare di perdere l’accesso ai mercati dei capitali. La riforma costituisce la base legale per trasformare il MES in una sorta di equivalente europeo del Fondo monetario internazionale, con compiti che andrebbero al di là del sostegno a Stati in situazioni di crisi di liquidità. 

La novità più importante introdotta dalla riforma è la possibilità per il MES di esercitare funzione di backstop per il Fondo di Risoluzione Unica UE (SRF) – proposta che assume un’importanza strategica alla luce dei recenti fallimenti bancari in USA e Svizzera.

Il SRF è un fondo istituito dall'UE per risolvere le banche in dissesto nel contesto dell'Unione bancaria. È finanziato dai contributi del settore bancario. Nel caso in cui l'SRF si esaurisca, la riforma permette al MES di prestare i fondi necessari per finanziare una risoluzione.

Nell’attuale framework UE di gestione delle crisi bancarie il SRF è l’ovvio candidato per iniettare liquidità in un istituto di credito in fase di ristrutturazione, ma la sua potenza di fuoco è limitata a un target di 80 miliardi di euro, che dovrebbe essere raggiunto a fine 2023.

L’aggiunta di un backstop da parte del MES  raddoppierebbe i fondi a disposizione del SRF, permettendo di gestire una crisi - se si presentasse – in maniera più efficace. 

Una seconda novità è la revisione delle linee di credito precauzionali del MES (note come PCCL, Precautionary Conditioned Credit Line e ECCL, Enhanced Conditioned Credit Line).

Attualmente, l’accesso alla PCCL è subordinato alla firma da parte del governo richiedente di un Memorandum of Understanding (MoU), contenente la ben nota condizionalità macroeconomica. La nuova PCCL sarebbe invece accessibile senza  MoU, ma solo per Paesi che rispettino determinati requisiti di idoneità.

Questa revisione avrebbe potuto essere più ambiziosa. I requisiti di accesso alla nuova versione “light” della PCCL sono infatti molto stringenti, e la riforma aggiunge il requisito che il Paese richiedente la PCCL light abbia, nei due anni precedenti alla richiesta, rispettato la regola di riduzione del debito prevista nel Fiscal Compact (ovvero una riduzione di almeno 1/20 della differenza con il benchmark del 60 per cento, ogni anno).  

Questo criterio renderebbe impossibile per l’Italia accedere alla nuova PCCL light priva di MoU – e costituisce l’unico aspetto della riforma del Trattato che costituirebbe per il nostro Paese uno svantaggio (seppure ipotetico). Ma la Commissione UE ha recentemente proposto di eliminare la regola di riduzione del debito nel contesto della più ampia riforma delle regole fiscali UE.

Una volta approvato il nuovo assetto delle regole fiscali UE basterebbe quindi una modifica dei criteri di accesso alla PCCL che recepisca il nuovo assetto delle regole fiscali. Un paper pubblicato nel 2021 da quattro economisti del MES (Francovà et al (2019)) propone proprio questa soluzione, e conferma come alla base della riforma della PCCL ci sia l’idea di subordinarne l’accesso al rispetto delle regole fiscali UE vigenti, seguendone l’evoluzione piuttosto che ancorandosi a criteri fissi.

Giorgia Meloni

Sospendere la ratifica del MES pensando di usarlo come pietra di scambio per ottenere concessioni sulla riforma delle regole fiscali non farebbe altro che rafforzare la percezione dell’Italia come Paese inaffidabile, agli occhi dei nostri partner in Europa.

Timori infondati

La riforma non introduce – come sostenuto da alcuni – un obbligo per l’Italia di richiedere l’assistenza del MES (e per rassicurare ulteriormente gli scettici, basterebbe introdurre nella ratifica una clausola che vincoli il governo a richiedere l’approvazione preventiva del Parlamento in caso di utilizzo – come suggerito recentemente da Mario Monti).

La riforma non introduce nemmeno alcuno automatismo che forzerebbe una ristrutturazione del debito pubblico italiano qualora il nostro Paese decidesse di utilizzare i fondi del MES. La valutazione della sostenibilità del debito è già parte dell’impianto concettuale del MES ed è in linea con la filosofia del FMI, che applica però condizioni molto più stringenti.

Per accedere ai fondi FMI, la ristrutturazione è un prerequisito se il debito viene ritenuto non sostenibile, mentre nel framework del MES non esiste questo automatismo e il Trattato è chiaro nel limitare questa eventualità a casi eccezionali.   

Molta confusione ha suscitato anche l’introduzione, tramite la riforma, di un nuovo tipo di Clausole di Azione Collettiva (CACs). Le CACs sono un meccanismo legale presente da gennaio 2013 in tutti i titoli di Stato con durata superiore a 1 anno emessi da Paesi dell’eurozona, volto a facilitare l’eventuale ristrutturazione del debito sovrano permettendo a una maggioranza di creditori di cambiare i termini dei titoli di Stato per tutti i detentori.

La ratio di questo strumento è quella di evitare situazioni – ben note nel caso dell’Argentina, ma viste anche in Grecia nel 2012 – in cui una minoranza di creditori riesca a bloccare la ristrutturazione facendone aumentare il costo finanziario per gli altri detentori e il costo economico per il Paese.

La riforma del MES prevede l’introduzione di un tipo di CACs “dette “single limb”, che renderebbe ancora più trasparente e prevedibile la ristrutturazione del debito - qualora necessaria.  

Tra gli oppositori della riforma, alcuni sembrano temere che l’introduzione delle nuove clausole farà aumentare la probabilità di dover ristrutturare il debito italiano, e con essa il costo di finanziamento per lo Stato.

Questa paura è infondata: la probabilità di dover ristrutturare il debito dipende dalla sostenibilità dello stesso, che a sua volta dipende dai fondamentali economici (in particolare crescita, inflazione, saldo della bilancia fiscale) e dal tasso di interesse che gli investitori richiedono per detenere il debito italiano. 

Le CACs non hanno alcun effetto su crescita, inflazione, o sulle scelte di politica fiscale – che sono appannaggio del governo. Per quanto riguarda il costo del debito, l’evidenza empirica sembra suggerire che le CACs siano associate a una riduzione (non un aumento) del premio richiesto dagli investitori in titoli di Stato. Carletti et al. (2019) mostrano che i bond emessi nell’Eurozona dopo il 2013 (con le CACs di prima generazione) vengono scambiati a tassi d’interesse più bassi rispetto a bond in tutto e per tutto simili ma non contenenti alcun tipo di CACs. La presenza delle clausole è associata dagli investitori a una maggiore trasparenza e certezza legislativa, e quindi un minore rischio.  

Nel complesso quindi, la riforma del MES offre all’Italia dei benefici importanti (in termini di condivisione del rischio finanziario) senza maggiori costi. Si tratta di un passo avanti in direzione di una quasi "federalizzazione" dell’Eurozona, che i governi italiani hanno negli ultimi anni spesso auspicato. La line di opposizione “ideologica” alla riforma del MES è quindi poco giustificata sulla base dei costi e dei benefici.  

 

La logica dello scambio 

La seconda linea di opposizione alla ratifica ne contesta il tempismo più che la sostanza. L’idea sembra essere quella di usare la ratifica della riforma del MES come pietra di scambio “strategica” sugli altri tavoli di discussione aperti a Bruxelles – in particolare la riforma delle regole fiscali e l’assicurazione UE dei depositi bancari (EDIS). Ma è improbabile che questa strategia si riveli efficace.  

L’assicurazione UE sui depositi bancari è un pilastro fondamentale dell’Unione Bancaria la cui necessità dovrebbe essere ovvia alla luce dei recenti fallimenti bancari in altre giurisdizioni. Ma l’urgenza di riaprirne la discussione è limitata, in particolare alla luce della proposta di riforma del framework di gestione delle crisi bancarie e di assicurazione dei depositi (CMDI) presentata dalla Commissione UE due mesi fa.

Quella proposta contiene infatti alcuni elementi – come l’uniformazione del livello di seniority dei depositi e la possibilità di utilizzare più facilmente i fondi di garanzia per assorbire le perdite – che ridurrebbero strutturalmente il rischio di corsa agli sportelli anche in assenza di una garanzia comune UE. L’incentivo politico a trovare un accordo su EDIS  sembra limitato se non inesistente, indipendentemente da ciò che l’Italia deciderà di fare sul MES. 

La revisione delle regole fiscali UE è invece un tavolo su cui l’Italia si giocherà una partita esistenziale, ma con delle carte piuttosto scarse in mano - alla luce dei ritardi nell’attuazione del PNRR, da cui il nostro Paese riceve un trasferimento fiscale netto finanziato per lo più dai contribuenti dei cosiddetti Paesi “frugali”. Sospendere la ratifica del MES pensando di usarlo come pietra di scambio per ottenere concessioni sulla riforma delle regole fiscali non farebbe altro che rafforzare la percezione dell’Italia come Paese inaffidabile, agli occhi dei nostri partner in Europa.

Nei decenni passati, la strategia di politica economica internazionale adottata dall’Italia è stata troppo spesso predicata sull’idea che i nostri partner non potessero permettersi il nostro fallimento.

Se l’intento del governo è quello – enunciato in passato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni – di avere “più Italia in Europa”, allora serve ricostruire il capitale politico dilapidato nel tempo. E questo passa anche – benché non solo - dalla ratifica della riforma del MES.  

 

 

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